L’Unione Sovietica debutta nei Giochi Olimpici nel 1952, a Helsinki. La delegazione è composta di 295 persone che vincono in totale 71 medaglie (22 d’oro, 30 d’argento e 19 di bronzo). Conquistano il 2°posto nel medagliere generale, dietro solo agli Stati Uniti che si aggiudicano 76 medaglie (31 arrivano dall’atletica leggera contro le 17 dell’Unione Sovietica). Ma è grazie alla ginnastica – 9 ori, 11 argenti e 2 bronzi – che l’Unione Sovietica spicca il volo, libra nell’aria e volteggia. Sicura, determinata, rigida e poco allegra. (C’è ancora poco da sorridere. La Seconda guerra mondiale, finita da 7 anni, costò oltre 25-27 milioni di vittime. I danni materiali ammontano al 30 % delle ricchezze nazionali dell’URSS e sui territori che sono stati occupati dai nazisti anche fino al 66%. Negli Stati Uniti invece dal 1939 al 1945 il prodotto interno lordo è cresciuto del 70%.) La ginnastica maschile nel 1952 conta 8 specialità e Viktor Chukarin ne vince 4, arrivando secondo anche alle parallele e agli anelli. Ha più di 30 anni e anche per gli standard dell’epoca è un’età in cui non è facile vincere. Ma lui non è per le imprese facili, solo per quelle impossibili. Undici anni prima, nel…
Oggi è mancato un grande uomo, scrittore, idealista e sognatore. A 20 anni vinse la borsa di studio a Mosca e pochi mesi dopo venne espulso a causa della sua relazione con l’insegnante di letteratura slava. Atteggiamenti contro la morale. Dopo il colpo di stato di Pinocet fu arrestato e torturato. Trascorse 7 mesi in un bugigattolo che non gli consentiva neppure di alzarsi in piedi. Fu liberato solo per le pressioni di Amnesty International ma, un nuovo arresto lo aveva condannato all’esilio in Europa, prima ad Amburgo e poi in Francia. Scrisse numerosi articoli, poesie, romanzi e favole, molti dei quali furono, sono e saranno dei capolavori assoluti. Insegnò a volare alla Gabbianella e un po’ anche a noi, increduli. Insegnò a Zorba e Fortunata che esiste l’affetto tra esseri completamente diversi e “se tutto è un sogno, che importa”. Insegnò che “… le parole sono come il vino: hanno bisogno di respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro sapore definitivo.“ Lui si chiama Luis Sepulveda e la sua voce è il ponte sospeso fra il Cile e l’Europa.