Beethoven non fa più paura
Ci sarei voluto essere / Maggio 17, 2020

L’accesso al tempio della musica classica era da sempre riservato all’élite: per nascita, per istruzione, per presunzione. L’ingresso sembrava avvolto nella nebbia e nelle tenebre e più che un tempio assomigliava al castello kafkiano, fatto solo per disorientare e confondere e non per raggiungere. Ti scoraggiava perché sembrava lontano, antico, appunto, classico. Dovevi essere idoneo per poterlo avvicinare e attendere di entrare. Rimaneva comunque la sensazione di essere un po’ fuori posto perché era difficile già solo conoscere i nomi esatti degli strumenti, figuriamoci distinguere movimenti oppure prime e seconde viole.In ogni insegnamento la bravura del maestro non sta soltanto nella capacità di spiegare e coinvolgere ma soprattutto nel talento di regalare la propria conoscenza senza farla pesare come superiorità. È come dire “grazie”: tu perché mi ascolti, io perché tu mi parli. Spalancare il portone del sapere perché essere prescelti di conoscere significa non scegliere più ma condividere e gioire allo stupore altrui, alla meraviglia di qualcun altro nello scoprire che Beethoven non fa più paura.Ma la musica classica in grado di unire la storia (forte e spietata come la battaglia napoleonica di Hanau) e la poesia delicata ed esile di Emily Dickinson non è classica perché non più…

Peter Norman

“La velocità perfetta, figliolo, vuol dire solo esserci».Le Olimpiadi alla Città del Messico avrebbero dovuto (potuto?) aggiungere pace e armonia ad un anno che più di qualsiasi altro periodo storico era già tormentato fino all’estremo dalla contestazione, battaglie civili e militari, lotte armate, il rifiuto radicale verso un certo stile di vita. L’anno delle proteste studentesche del maggio francese, dell’assassinio di Robert Kennedy e di Martin Luther King, dei carri armati sovietici che travolgevano la primavera di Praga.Furono le Olimpiadi con tante “prime volte” e numerosi record, alcuni destinati a durare nei decenni come quello stabilito dall’americano Bob Beamon nel salto in lungo. E un altro saltatore, ma in alto, entrò nella storia: Dick Fosbury, che vinse l’oro con la tecnica rivoluzionaria, mi verrebbe da dire quasi extraterrestre (d’altronde saltava davvero in alto e per di più con due scarpe diverse). Furono le Olimpiadi più “alte”, a 2.250 metri di altitudine.Per la prima volta, l’ultimo tedoforo della fiamma olimpica, fu una giovane donna, l’atleta Norma Enriqueta Basilio de Sotelo.Ci fu il primo squalificato per doping nella storia olimpica, il pentatleta svedese Hans-Gunnar Lijenwall, per tasso alcolemico troppo alto.Jim Hines fu il primo velocista a scendere sotto i 10 secondi (tempo…