Una storia bivalenteSono indecisa se la distillazione di questo amore sia stata frazionata o molecolare o addirittura distruttiva.Sono indecisa se ho voglia di guardare all’interno del recipiente di raccolta.Sono indecisa se ho voglia di sapere di quale determinato componente sia stata la concentrazione maggiore. Vapore, vuoto d’aria, ebbrezza. Sedici anni fa avevamo un sogno: fare il giro di Roma a bordo di un taxi bianco e che fuori piovesse. Due ragazzi fantasticamente appassionati alla vita che riuscivano a galvanizzare tutto attorno a loro. Io traboccavo di sentimenti intensi e romanzati. Tu straripante della tua stessa personalità fabbricata a misura e solo a tratti vera, attendibile, ma comunque incredibile. In questi sedici anni rappresentavamo uno stravagante duo legato dai sentimenti indistinti. Adesso penso che avevamo semplicemente paura di guardarci dentro, di capire che il nostro disperato bisogno di affetto a lunga scadenza era più forte e più importante del nostro orgoglio e della presunzione di poter farne a meno di tutti. Per sedici anni abbiamo giocato allo stesso gioco – competizione con gli altri basata sulla nostra rivalità interna, rivalità benevole verso gli altri, perché comunque già in partenza sapevamo di essere i migliori, ma noi due uniti e rafforzati dell’antagonismo…
“A mano a mano che ci si innalza nella scala degli esseri, aumenta la sensibilità nervosa, aumenta cioè la capacità di soffrire. Soffrire e pensare sarebbero dunque la stessa cosa?” Chissà in che unità di misura è possibile misurare il dolore – in giorni che passano mentre ti svegli e in quel preciso momento già sai che stai male a priori di ogni evento che potrà accadere dopo; in assurdità che sei disposta a fare per cambiare la situazione (soprattutto in peggio) o almeno alleviare l’intensità della sofferenza acuta, sorda, ovattata che ti brucia lo stomaco; in indifferenza con la quale guardi il tuo futuro perché non puoi immaginare che il futuro (qualsiasi!) può davvero esistere in questa sorta di gabbia che comunque ti protegge perché ti aiuta ad esercitare i primi passi nella tua nuova vita, in quantità di lacrime versate, in quantità di alcolici bevuti che non ti rendono mai ebbra a sufficienza, chissà… Il mio dolore di quella volta si misurò in paura che dopo non ci sarebbe stato più niente per me. Non è la solitudine, ma la sensazione “non di più e nient’altro”. Il nostro romanzo è morto da solo. Lasciandomi sola. Rendendomi tremendamente normale,…