Ti sei sposato il 31 dicembre del 1987. Tuo figlio è nato il 14 maggio del 1988. Nel giugno del 1988 mentre io stavo al mare a Sebastopoli ci sentivamo ogni tre giorni inun’epoca nella quale non esistevano ancora né cellulari né e-mail né sms. Mi sto accorgendo che crescendo e diventando vergognosamente sentimentale per non dire patetica e caramellosa, mi affeziono sempre di più alle situazioni banali, alle parole ritrite, alle condizioni sbiadite. Lì, dentro, mi sento meravigliosamente protetta, perché so come comportarmi, avverto con la precisione del tiro, quando è il momento di piangere o di ridere, di scrivere, di sospirare, di attendere oppure di caricare ancora una volta la mia magica carabina (“La Fée Carabine”) per poter illuminare con uno spettacolo sfavillante una serie di eventi provocati dall’esplosione dei sentimenti. Ancora adesso, più di trentacinque anni dopo, mi ricordo il luogo preciso dove mi dicesti che Oxana era incinta. Eri venuto a prendermi all’università, era martedì pomeriggio di una stagione di sensi di colpa, l’autunno. Non l’autunno di foglie colorate, ma l’autunno spento, con cieli grigi come una maglietta bianca lavata troppe volte. Stavamo entrando nel bar all’angolo di piazza della Vittoria, io guardavo la mia borsa…
Perché scrivo? Non saprei. (è forte l’impulso di appropriarmi della battuta di un personaggio del mio film preferito in assoluto:”Perché non so ricamare”) Non me lo sono mai chiesta. E’ come un viaggio, solo per vedere un certo quadro dal vivo. Un quadro visto da piccola in un libro per bambini (quindi forse per rivedere me stessa davanti a quel quadro con la speranza di ritrovare l’esclamazione di gioia, trattenuta per trent’anni or sono).
Была в твоём взгляде какая-то невероятная порядочность, почти старомодная. И от той никому не нужной и шумной вечеринки отдела мне помнится лишь твоё восхищение без вожделения, к чему увы! не привыкла. Так смотрели и на меня, и на меня похожих тысячу лет назад, что наводило на мысль о моем возрасте и абсолютном неприличии пофлиртовать с тобой. Твоя серьёзность, не ко мне только, а глобальная, по отношению к жизни, работе и людям, пугала меня тем, что ограничивала мои театральные подмостки, не нуждаясь в зрителях и аплодисментах. Ты жил, я играла. Ты проводил меня домой… слегка подвыпившей, но действительно слегка, даже не под шафе, а ещё легче, только скулы чуть розовее и почти атропиновые зрачки, я назвала тебя по имени, и ты, подняв на меня прозрачные зелёные глаза, посмотрел на меня так, что от твоего беспомощного восхищения я вдруг выпрямила спину. Почувствовав себя музейным экспонатом с надписью “руками не трогать “. Ничего нельзя, даже думать о тебе перед сном. Я не знаю, что мне делать с этой охапкой нежности, сладкий дурман весенних ландышей. Мне не по размеру и не по карману эта полуистория, которую даже скрывать незачем. Кристально чистая, как твои зелёные глаза. Ты отлично помнишь и иногда совершенно неожиданно цитируешь отрывки…
Sympósion dialogo di Platone (384 a.C. circa), tra Socrate e un gruppo di amici e discepoli sul tema dell’amore. “Quando ci si trova davanti un ostacolo, la linea più breve tra due punti può essere una linea curva” Lo guardo dritto negli occhi, lo fisso e cerco con tutte le mie forze (poche!) di non mettermi a ridere, l’unico pensiero negli ultimi cinque minuti – come è incredibilmente bello. La sua serietà è bestiale. Non riesco a credere che lui mi stia parlando di questo. Tutto è stranamente lento, come in un sogno, cerco di dire qualcosa, ma le parole non vogliono uscirne, il suono è sordo e indistinto, un liquido che gorgoglia. L’unica considerazione che sono in grado di fare : la sua bellezza è disumana. E che lui mi ama. Ieri dopo “Lo specchio”, io tutta slavata e stremata dalle lacrime e della consapevolezza, mia, della dissezione da Tarkovski, io trasparente dalla venerazione davanti al genio. Lo penso molto più spesso di quello che è conforme alla ragione e quindi al buon senso. Ma quando lo vedo, mi rendo conto distintamente, che la fissazione tirata, la mia concentrazione serale su di lui è solamente un estensore. La mia…
Oggi ho chiamato Stefania per farle gli auguri – non lo facevo da 12 anni, infatti ero palesemente impacciata, lo era anche lei. Tanto è vero che mi ha chiesto perché non mi ero mai fatta viva prima. Che domanda imbarazzante per tutte e due, già a disagio. Pentendomi prima, dopo e durante, muovendo appena le labbra, ho risposto: ”Perché l’amore per tua figlia era più forte della nostra amicizia”. Turbata, ma non sorpresa, emozionata. Sentivo ogni singolo movimento della respirazione. Ho chiuso gli occhi per immaginarla in modo nitido, vicino al telefono, appoggiata con la fronte alla libreria (quante volte l’avevo vista così, mentre parlava con Stefano, il fidanzato di Eleonora, il suo amore segreto) – il suono della sua voce, facile a comprendermi anche adesso, a perdonarmi nei miei errori, nelle mie colpe, abbandonando ogni sentimento di astio e rancore. Parlavamo sottovoce, bisbigliando, per paura di farci ancora male. Sono contenta di averla chiamata. Sono contenta per me, di non aver chiesto niente di Francesca.Non riesco a pensare a Francesca che ha 30 anni. Magari è sposata. Magari ha dei bambini. Magari ama suo marito. Chissà se è dimagrita. Mio struggente, tormentato amore. Supplizio, sofferenza. Una fresca banalità….
“Splendido i. espressione usata da lord Salisbury (XIX sec.) per indicare il disimpegno del suo paese verso i sistemi continentali di alleanze, ed estesasi poi a tutta la politica britannica ispirata a questo principio.” Confesso (e nello stesso identico istante ammetto che voglio riconoscerlo solo davanti a te, perché tu sei la causa, il motivo, ogni possibile inizio, qualsiasi inimmaginabile spiegazione del mio voler essere un po’ più vicino a te, accecarmi da vicino, e non alla distanza di una mano, tesa, verso di te) che scrivere di due Marine è semplicemente chiudere il cerchio, sovrapporre due sfere, dove due rette si incrociano, si fondono, si uniscono per ricavarne un’unica terza figura – me stessa. Mentre scrivo penso a Natalia Gonciarova, alle tue Natalie Gonciarove, e mi commuovo nella speranza che a priori di qualsiasi mia predisposizione artistica (palese o celata) , c’è sempre una piccola parte di te, il tuo soffio sulla mia nuca, ed ho paura di voltarmi. Il mio primo ricordo di te – troppo distinto, forse perché non era associato a niente –non c’è e non c’è mai stata una premessa, quindi il contorno, quel insieme delle linee (sagoma, profilo, mai silhouette però!) è troppo in…
Alla fine capisco che non posso descrivere gli eventi – anche quelli più drammatici con anni assumono le sfumature quasi piacevoli – dipende a chi racconto una di tante storie e in che stato d’animo mi trovo. Il mio passato sembra molto più bello di quanto era ancora il mio presente. Posso fidarmi soltanto delle percezioni non elaborate – odori, voci, colori, suoni. Mia madre che accende la luce nel disimpegno davanti alla cameretta prima di svegliarci. Il colore della copertina del primo libro di Marina Zvetaeva – un verde acerbo, acuto, inquietante, – uva spina. La calligrafia di una amica lontana che mi provoca la stessa inquietudine di 15 anni fa. Ci sono dei periodi quando mi sento di vivere dentro questi avvertimenti della realtà esterna, mi succede di ricordare all’improvviso un intero episodio solo sentendo un odore una volta famigliare oppure una voce – che difficilmente si cambia negli anni e mi giro fingendo di trovare chissà che cosa, forse me stessa, quel personaggio strano che porto a presso, cercando di tenergli il passo. A volte lo afferro davvero e vivo in sintonia per un po’ di tempo. Del suo appartamento al centro (a fianco della Belarusfilm, in…
Una storia bivalenteSono indecisa se la distillazione di questo amore sia stata frazionata o molecolare o addirittura distruttiva.Sono indecisa se ho voglia di guardare all’interno del recipiente di raccolta.Sono indecisa se ho voglia di sapere di quale determinato componente sia stata la concentrazione maggiore. Vapore, vuoto d’aria, ebbrezza. Sedici anni fa avevamo un sogno: fare il giro di Roma a bordo di un taxi bianco e che fuori piovesse. Due ragazzi fantasticamente appassionati alla vita che riuscivano a galvanizzare tutto attorno a loro. Io traboccavo di sentimenti intensi e romanzati. Tu straripante della tua stessa personalità fabbricata a misura e solo a tratti vera, attendibile, ma comunque incredibile. In questi sedici anni rappresentavamo uno stravagante duo legato dai sentimenti indistinti. Adesso penso che avevamo semplicemente paura di guardarci dentro, di capire che il nostro disperato bisogno di affetto a lunga scadenza era più forte e più importante del nostro orgoglio e della presunzione di poter farne a meno di tutti. Per sedici anni abbiamo giocato allo stesso gioco – competizione con gli altri basata sulla nostra rivalità interna, rivalità benevole verso gli altri, perché comunque già in partenza sapevamo di essere i migliori, ma noi due uniti e rafforzati dell’antagonismo…
“A mano a mano che ci si innalza nella scala degli esseri, aumenta la sensibilità nervosa, aumenta cioè la capacità di soffrire. Soffrire e pensare sarebbero dunque la stessa cosa?” Chissà in che unità di misura è possibile misurare il dolore – in giorni che passano mentre ti svegli e in quel preciso momento già sai che stai male a priori di ogni evento che potrà accadere dopo; in assurdità che sei disposta a fare per cambiare la situazione (soprattutto in peggio) o almeno alleviare l’intensità della sofferenza acuta, sorda, ovattata che ti brucia lo stomaco; in indifferenza con la quale guardi il tuo futuro perché non puoi immaginare che il futuro (qualsiasi!) può davvero esistere in questa sorta di gabbia che comunque ti protegge perché ti aiuta ad esercitare i primi passi nella tua nuova vita, in quantità di lacrime versate, in quantità di alcolici bevuti che non ti rendono mai ebbra a sufficienza, chissà… Il mio dolore di quella volta si misurò in paura che dopo non ci sarebbe stato più niente per me. Non è la solitudine, ma la sensazione “non di più e nient’altro”. Il nostro romanzo è morto da solo. Lasciandomi sola. Rendendomi tremendamente normale,…
Le parallele asimmetriche “C’è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per intelletto”. “Il sentimento è il primo, più profondo e quasi unico senso degli uomini” All’aeroporto di Varsavia compro un piccolo mazzo di iris. E’ fine marzo, fuori uno spruzzo di neve/pioggia mi bagna il viso, rientro, vado a prendermi un caffè. Penso non sia stata una grande idea comprare dei fiori proprio adesso; penso che potrebbero appassire al mio arrivo a destinazione. Decido di prendermi un succo di pomodoro. Quando ero piccola, il succo di pomodoro era la bevanda che costava meno di tutte (che è stranissimo in sé, perché da noi i pomodori non c’erano, non riuscivano a diventare rossi nella nostra estate breve e non sempre calda. Sasha, il marito di Kostenko, chiamava la Bielorussia “Il paese dei pomodori sempre verdi”), vicino alle caraffe esposte (succo di betulla, succo di mela) c’era una saliera e un cucchiaio per mescolare, uno per tutti. Le commesse con divise grigie un po’ macchiate sul petto, cappellini assurdi sulla permanente assurda, mai una parola gentile – ma era il mio mondo, il mio zoo di vetro, dove mi muovevo disinvolta e felice. Che il succo di pomodoro…