Tears no fears

Dicembre 18, 2021

“Il paese delle lacrime è così misterioso”

Le lacrime. Piango perché sono capace di cedere all’emozione e quindi sono forte oppure non lo sono e resisto?
Piango e non temo gli occhi rossi, il naso che cola, le guance rigate dal mascara. Non piango e non temo gli occhi rossi, il naso che cola, le guance rigate dal mascara. Catarsi, liberazione, melodramma, ricatto, dolore. Quale parte è mia? E quanto mio c’è in ogni parte?

“Se in un museo si esponesse
un bolscevico che piange,
quel museo tutto il giorno
sarebbe pieno di gente curiosa,
ma uno spettacolo simile
non accadrà di vedere nei secoli.”

Majakovkij “Vladimir Ilic Lenin”
Negli anni l’Unione Sovietica ha vinto 3 premi Oscar per il miglior film straniero. L’ultimo, aggiudicato nel 1981, ha un titolo che suona abbastanza eccentrico per un orecchio non russo – “Mosca non crede alle lacrime”. Prende spunto da un proverbio molto diffuso all’epoca. Veniva citato spesso e ci si abituava fin da piccoli che per andare avanti bisognava rimboccarsi le maniche; contavano i risultati e non le spiegazioni perché non sei arrivato ad un determinato traguardo. Si piangeva di nascosto però, vergognandosi della propria debolezza perché nell’Unione Sovietica vivevano i veri super eroi ed erano talmente tanti che tu nel tuo piccolo lo dovevi essere per forza.
Nel film però la protagonista, Katerina una ragazza madre, piange. In una stanza della casa degli operai, con la bambina nata da poco che piagnucola nel sonno, lei, pur lavorando in fabbrica di giorno, la sera studia e si prepara per superare il test d’ingresso all’Università, il suo sogno. Non riesce a combattere il sonno alle 2 di notte, va a dormire ma prima punta la sveglia, già caricata per le 6 di mattino. Sposta le lancette un’ora avanti, alle 5, e chiudendo la bocca con il palmo della mano per non svegliare la bambina, piange, si gira verso il muro e spegne la luce.

Si laurerà con lode in chimica, diventerà la responsabile di una grossa azienda e dirigerà 300 persone. Crescerà da sola la figlia e imparerà a guidare la macchina. (stiamo parlando del 1979 quando a guidare le macchine erano il 99,9% gli uomini). Vent’anni dopo essere lasciata dal suo fidanzato di allora gli dirà : “Grazie che mi hai lasciato. Altrimenti non sarei mai diventata quella che sono adesso”.

Nel 1975, a Londra, durante la prima Coppa del Mondo di ginnastica artistica, Liudmila Turishcheva – eccezionale atleta sovietica- vince il concorso individuale e tutte le quattro gare agli attrezzi.

Durante l’esecuzione impeccabile sulle parallele, Liudmila avverte l’instabilità dell’attrezzo, non si ferma e conduce l’esercizio fino alla fine. Atterra con fiducia e le attrezzature crollono dietro di lei. Liudmila non si gira perché sa perfettamente che qualasiasi movimento non richiesto potrebbe abbassare il voto della prova, non vuole e non può deludere le aspettative dell’intero Paese. Il volto è concentrato (ma non spaventato), saluta in maniera composta i giudici e scende dal palco. Rivedrà il suo esercizio in video registrazione solo in serata.

Il 31 agosto 1972 segna una data spartiacque nella storia della ginnastica femminile. Quel giorno, alle Olimpiadi di Monaco, la sovietica Olga Korbut vinse l’oro alla trave e nel corpo libero, oltre a un argento nelle parallele asimmetriche. Aveva solo 17 anni. Soprannominata il “passerotto di Minsk”, era uno scricciolo di pura energia: pesava 38 chili su 150 cm di altezza.
Dalla sera alla mattina, divenne una star planetaria, sovvertendo i paradigmi atletici, fisici e tecnici della ginnastica: la ginnastica poteva esser nata come una disciplina per donne adulte, ma furono le evoluzioni esplosive di una tascabile adolescente bielorussa a preparare il terreno per l’ancora più leggendaria Nadia Comaneci.
Ma Olga entrò nella storia anche per un altro motivo.
Nei preliminari commise diversi errori e delusa per la misera prestazione scoppiò pubblicamente in lacrime, catturando le simpatie della folla, abituata a pensare alle rappresentanti dell’Urss come appunto i perfetti super eroi che non fanno trasparire alcuna emozione.

Ma fu proprio quella dimostrazione d’umanità inattesa a farla adottare dal pubblico di casa, oltre alla bellezza dei suoi movimenti – anche per chi ignora i canoni del genere e i criteri dei giudici – la grazia, e l’umanità che traspare dalle sue esultanze a fine esercizio.

Korbut continuò a scardinare gli schemi della guerra fredda anche dopo le Olimpiadi di Monaco. Nel 1973 fu ricevuta alla Casa Bianca da Richard Nixon. A quanto pare il presidente statunitense, stanco dagli insuccessi della “diplomazia del ping-pong”, le disse che la sua prestazione a Monaco aveva fatto di più per la distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Unione Sovietica di cinque anni di sforzi diplomatici tra i due governi.

“Impara dalle nuvole a non soffocare le lacrime.”

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