The Human Comedy

Novembre 18, 2020

“Credo che un bambino cerchi un suo simile in tutti quelli che incontra. E se trova un bambino in un adulto, credo che lo preferisca a chiunque altro. Vorrei poter essere adulto come Ulysses è bambino”.
Nel 1943 a New York viene pubblicato il libro “The Human Comedy” di William Saroyan; nello stesso anno esce l’omonimo film diretto da Clarence Brown.
La pellicola gareggia nel 1944 per gli Oscar a fianco di “Casablanca”, “Il cielo può attendere”, “Addio alle armi”, vincendo la statuetta per il “Miglior soggetto originale”.
Sia il libro che il film riscuotono un notevole successo ma non diventeranno mai oggetto di esaltata venerazione da parte del pubblico né saranno osannati dalle generazioni successive. A differenza di altri due che usciranno qualche anno dopo.
“The Catcher in the Rye” sarà pubblicato nel 1951. Si confermerà un must da leggere ma non da rileggere. Un romanzo di formazione sì, ma senza speranza e fiducia che dovrebbero accompagnare la crescita. L’adolescenza della solitudine cupa, grigia, persa. Magistrale nello sviscerare i problemi che rimangono irrisolti. Sono profondamente legata a questo libro per il suo lirismo disperato e luminoso.
“Dandelion Wine” uscirà ancora dopo, nel 1957. Un altro romanzo di formazione predestinato all’eccellenza e al successo. Mi guiderà per anni con il suo essere fantastico, colorato, vivo e pulsante. Ma troppo patinato. La fantascienza applicata al mondo dei sentimenti.
Mi chiedo perché “The Human Comedy” sia rimasto solo (solo!) un ottimo libro senza mai oltrepassare la soglia di quella esclusiva raffinatezza da essere considerato un capolavoro assoluto? Quale caratteristica permette davvero ad un testo letterario di diventare leggendario ed esemplare?
“Posso avere un sorso d’acqua?”
“Certo, Lionel”. La signora Macauley gli riempì un bicchiere, e lui bevve d’un fiato, facendo quel suono che si fa da bambini, quando l’acqua è la bevanda più buona del mondo”.

Credo che un libro scritto con l’entusiasmo per la vita, un libro che grida a squarciagola la felicità semplice – affetti, lavoro dignitoso, sacrifici, rispetto dei valori, onestà – non riscuota successo perché ognuno di noi aspetta che la propria esistenza, per essere considerata dignitosa (da chi poi?) debba per forza essere complicata, piena di insormontabili ostacoli, problemi e solitudine. Che uno debba per forza diventare qualcuno per essere amato, stimato, valorizzato.

“The Human Comedy” affronta delicatamente i temi della morte, della guerra, della discriminazione razziale. Le sofferenze e la povertà, il lavoro minorile, la disperazione, la fatica di ogni giorno vengono raccontati con le parole dei bambini e ragazzi i quali però non conoscono la solitudine. La loro forza è proprio lì, all’interno delle loro famiglie, accoglienti e fiduciose. Anche se il domani non sarà roseo, lo affronteranno insieme, con loro amici fedeli e leali e perché no, anche con gli insegnanti che sono saggi e rispettosi.
“Ulysses diventerà un grand’uomo un giorno, vero?” “Forse non agli occhi del mondo, ma sarà qualcuno, certo, perché è già qualcuno anche ora”.
La vita semplice in cui non manca niente e non si spreca niente: tempo, emozioni, sogni, parole non si rimandano a domani, a quell’illusorio momento giusto che spesso non arriva mai.
È uno stile di vita scomparso dove le cose vengono prese sul serio, almeno in 39 episodi, leggeri e decisi, vivaci, esuberanti, ma talmente veri che hai la sensazione di viverci dentro. Viverci dentro o vivere?

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