Il Convito

Giugno 1, 2007

Sympósion dialogo di Platone (384 a.C. circa), tra Socrate e un gruppo di amici e discepoli sul tema dell’amore.

“Quando ci si trova davanti un ostacolo, la linea più breve tra due punti può essere una linea curva”

Lo guardo dritto negli occhi, lo fisso e cerco con tutte le mie forze (poche!) di non mettermi a ridere, l’unico pensiero negli ultimi cinque minuti – come è incredibilmente bello. La sua serietà è bestiale. Non riesco a credere che lui mi stia parlando di questo.

Tutto è stranamente lento, come in un sogno, cerco di dire qualcosa, ma le parole non vogliono uscirne, il suono è sordo e indistinto, un liquido che gorgoglia. L’unica considerazione che sono in grado di fare : la sua bellezza è disumana. E che lui mi ama.

Ieri dopo “Lo specchio”, io tutta slavata e stremata dalle lacrime e della consapevolezza, mia, della dissezione da Tarkovski, io trasparente dalla venerazione davanti al genio.

Lo penso molto più spesso di quello che è conforme alla ragione e quindi al buon senso. Ma quando lo vedo, mi rendo conto distintamente, che la fissazione tirata, la mia concentrazione serale su di lui è solamente un estensore. La mia sensibilità si sta allenando su di lui – come una gatta prima di saltare – la mia schiena, dentro la quale io sono tutta intera, come un’onda arrabbiata (sempre, in tutto il mio essere assurdo scoppia ad un tratto la sfrenatezza di Marina – anche adesso: ma il ricordo di una sua citazione è arrivato dopo, quindi, in qualche parte del mondo le nostre anime si incrociano, nel mio tentativo di abbracciare quello che non mi appartiene…)

Non c’è stato niente fra noi tranne quel bacio leggero, quasi impercettibile, il delicato sfuggire dalla prigionia di parole – non avrei mai potuto trovare le parole coerenti alle circostanze, per far svanire dai suoi occhi la paura che io non possa trovare le parole coerenti alle circostanze. Le sue labbra leggermente umide sembravano dire “grazie” nel loro accostarsi alle mie – un punto in comune fra due curve piane. Mi ricordo molto bene il suo sguardo luminoso, pieno di promesse. Dopo abbiamo camminato a lungo sulla spiaggia.

Dove era finito quel uomo insolente che suscitava in me l’irritazione immediata e mi provocava di essere altrettanto boriosa quanto ignorante? La bocca, ricordata da sempre come una linea spaccata dall’espressione del disprezzo, era commovente, indifesa. Penso che osai di baciarlo proprio per togliere ogni macchia di estraneo, ogni traccia che non faceva più parte di lui, ogni segno che non era più ammesso nel nostro (mio e suo) ambiente. Ammirazione stupita perché inattesa. Insospettata.

Che cosa sappiamo noi dell’amore e di noi stessi nell’amore? Per me il primo indizio – la sensazione di un colpo a livello del plesso solare che compromette le funzioni degli organi vitali e la facoltà di ricevere le impressioni dal mondo esterno. Mi manca il respiro.

Non sappiamo gestire questa strana storia d’amore – dentro questo edifico –vetro blu scuro e acciaio – siamo estranei, ci viene spontaneo non sentirci – posso parlargli solo al telefono e quando sono sicura che nessuno veda il numero sul display.

Lo vedo parlare con gli altri, talmente teso da poter ferire senza toccare, sempre di un’eleganza impeccabile che sembra di cattivo gusto.

Mi aveva accompagnata a casa perché pioveva, era un tragitto molto strano in cui nessuno (specialmente io dopo la sua richiesta più che esplicita “sto bene con te anche se non parli”) si è espresso per mezzo di parole anche in senso generico, mi sentivo straziata dall’obbligo di invitarlo a salire, perché la conclusione era ovvia, ma mancava di evidenza logica. Rimasi profondamente sorpresa alla sua domanda “posso fare qualcosa per te?” nonché della mia risposta “possiamo andare al mare sabato?” e fino a venerdì sera mi affannavo per escogitare ogni genere di sotterfugio, cercando di rimediare a questa situazione di imbarazzo. Sabato mattina mi svegliai particolarmente contenta, il tempo era bello, io ero bella e andavo a passare una giornata al mare con un uomo molto bello. Misi il mio poncho azzurro e gli stivaletti di camoscio.

Quando cominciò a parlarmi, stetti a credergli, questa sincerità senza nessun preavviso tagliava il nostro naturale distacco, scioglieva la sensazione di freddo, dispiegava il nostro essere contorto e complicato. Abbiamo raggiunto l’intimità senza toccarci. Ero avvolta nella sensazione di benessere spirituale e fisico che di solito sperimento dopo aver fatto bene l’amore con la persona che amo.

Al ritorno gli chiesi se voleva salire, mi guardò con un’impressione perplessa, quasi di imbarazzo, così per sdrammatizzare, aggiunsi: “vorrei sdebitarmi” . “Anch’io” mi ha risposto, tirando dal cassetto sotto il cruscotto un piccolo astuccio colorato. ( Il suo braccio passò vicino, senza toccarle, alle mie ginocchia. Per un attimo trattenei il respiro e penso che arrossii). All’interno c’era un braccialetto con una pietra azzurra, – leggero, allegro, lineare. Mi girai verso di lui bruscamente, più per spavento che per piacere, dicendo “non so che farmene con questo tuo regalo”.

La mia poesia preferita di Emily Dickinson, l’unica imparata in inglese, è la poesia preferita di sua madre. Quando lei cominciò a recitarla, dimenticò una parola e gliela suggerii senza pensarci, come fosse una carezza passeggera a un bel gatto – nessun sentimento, un semplice atto del passare la mano, affondandola nel mondo delle poesie e delle fantasie lontane. Per un po’ nessuno parlò. Guardai tutti profondamente meravigliata: “è solo una poesia, è solo una coincidenza, sono solo atomi che hanno deviato il loro percorso”. Di quella serata mi ricordo molto bene il colore rosa, la mia giacca, la mia borsa, il mio viso leggermente emozionato.

Non è vero che non gli credo, ritengo solo che non posso essere la sola a godermi questo suo sentimento, così, senza nessun altra compartecipazione. L’errore dello spirito è come la disfunzione sensoriale – per l’ascoltatore una parola ripetuta un numero elevato di volte cambia.

O forse sto soltanto cercando di far aderire la mia innata paura di un legame intenso all’idea precostruita di un uomo sbagliato. Forzando il senso reale in maniera troppo tendenziosa. Affaticando eccessivamente. Chiudere la mia apertura cardiaca per evitare che fuoriesca tutta la mia ansia e apprensione per una sofferenza che deve ancora verificarsi.

Siamo andati a cena del compleanno di suo padre insieme, anche se non stavamo insieme. E mi piace pensare a tutte le parti e abbreviazioni di questo sentimento che ci abbraccia, alla misura della nostra sensibilità, del nostro silenzio, di quell’ infinita ombra del mondo illusorio, dove parafrasando John Donne non ci sentivamo più le isole a sè stanti, ma parte di un continente.

“I migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che, e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale”.

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