Lo splendido isolamento

Maggio 13, 2005

“Splendido i. espressione usata da lord Salisbury (XIX sec.) per indicare il disimpegno del suo paese verso i sistemi continentali di alleanze, ed estesasi poi a tutta la politica britannica ispirata a questo principio.”

Confesso (e nello stesso identico istante ammetto che voglio riconoscerlo solo davanti a te, perché tu sei la causa, il motivo, ogni possibile inizio, qualsiasi inimmaginabile spiegazione del mio voler essere un po’ più vicino a te, accecarmi da vicino, e non alla distanza di una mano, tesa, verso di te) che scrivere di due Marine è semplicemente chiudere il cerchio, sovrapporre due sfere, dove due rette si incrociano, si fondono, si uniscono per ricavarne un’unica terza figura – me stessa. Mentre scrivo penso a Natalia Gonciarova, alle tue Natalie Gonciarove, e mi commuovo nella speranza che a priori di qualsiasi mia predisposizione artistica (palese o celata) , c’è sempre una piccola parte di te, il tuo soffio sulla mia nuca, ed ho paura di voltarmi.

Il mio primo ricordo di te – troppo distinto, forse perché non era associato a niente –non c’è e non c’è mai stata una premessa, quindi il contorno, quel insieme delle linee (sagoma, profilo, mai silhouette però!) è troppo in neretto, non può essere così, ma sono arrivata a quel libro da sola, insieme con la mamma, ma già distaccata.

Il colore della copertina è un verde acerbo, acuto, inquietante, – uva spina (colore e gusto) – colpo di sole (mio!), colpo di testa di mia mamma (a comperarmelo – un libro al prezzo di tre normali per la mia età. )

Il mio primo ricordo di te si racchiude nella vetrina di una libreria tedesca, (quando dieci anni dopo mia madre si ammalò, non trovai niente di più indicato di verbi tedeschi irregolari – uno spontaneo tentativo di ritrovare ancora l’aria di noi tre nella rigida presa della lingua tedesca (quella resistenza attiva che spesso scambio per il grado di sopportazione!). La mamma guarì, io continuai per un altro anno ancora gli studi privati.

Il tuo nome troppo sonoro per echeggiare davvero russo, le tue poesie troppo complicate, l’impossibilità di parlare di te con qualcuno mi procurarono una divina sensazione di inferiorità spirituale la quale più di ogni altro stimolo mi incoraggiò a studiare.

Marina il mio piccolo volpacchiotto con gli zigomi alti, la pelle efelide e i capelli color grano nel pomeriggio inoltrato di un’estate calda, ma non più soffocante. Non era né carina né graziosa né simpatica, non aveva la minima voglia di piacere a nessuno, non aspirava ai favori e difficilmente suscitava affetto. Già a nove anni possedeva una capacità di resistenza stupefacente e coraggio disumano, proprio perché non era semplicemente una bambina di nove anni, era un piccolo volpacchiotto con gli occhi verdi trasparenti a puntini gialli.
In quella foresta dove ci eravamo incontrate, all’inizio nessuna di noi due comprese a fondo questa esperienza privilegiata, che consisteva nella incongruenza logica delle nostre vite come unica valida forma della nostra reciproca esistenza. Eravamo due animali feriti, cacciati, braccati, inseguiti – uno grande ma comunque spaventato, e un altro – cucciolo- che correva veloce, che si destreggiava abile e agiva con la freddezza necessaria per riuscire nel proprio intento, fuggire.

Tra di noi esisteva da sempre un sentimento di devozione silenziosa, di reverenza, quasi un certo volersi scusare per la propria presenza nella vita dell’altra, perché questa presenza bruciava – ci ricordava di essersi esposte ad un pericolo serio. No, non prima, non in quella foresta, dove correvamo fianco a fianco, due volpi rosse, sulla neve cristallina e limpida di una distesa silenziosa, sempre vicine, ma mai troppo. Ci ricordava la nostra salvezza reciproca e nessuna delle due voleva ammetterlo: non si accetta anche momentaneamente che il tuo momento peggiore, la constatazione della propria indegnità, disonore, profondo disagio corre il rischio di imbattersi nell’unica persona che vuoi tenere protetta, il cui giudizio ti serve per riscattarti e barattare la propria libertà.

Superai quel lungo inverno anche grazie a lei, alla necessità di uscire di casa e andare a trovarla, finché il buio dietro la finestra non diventò la luce oltre la siepe.

Per famiglia intendo le persone legate fra di loro da affinità, il sangue mente, perché è un tessuto liquido presente nei vasi sanguigni in quantità intorno al 5% del peso corporeo – posso forzare la mia volontà a sentire solo questo 5%, posso ricondurre tutto il mio essere ad una formula chimica, rimpicciolendomi?

Ho sempre avuto la paura del mare, dell’acqua alta, delle onde, di tutto cioè che appartiene, che fa parte del mare. E non si tratta solo di un pericolo imminente che può causare in qualche modo la minaccia alla mia vita – ho paura di non sentire il mio corpo, di lasciarmi in balia di qualcosa molto più forte di me, di passargli il diritto di controllo della mia volontà. Eppure le due persone che più di qualsiasi strumento e azione hanno dirottato la mia vita in una direzione diversa da quella originaria si chiamano Marina. A dispetto di questa presa in giro, dirò: mi hanno sempre spaventato anche quelle due, di intensità variabile, ma sempre luminosa.

E’ un grande privilegio quello di non analizzare i propri sentimenti, non chiedersi “perché “ e “come mai”, e non si tratta solamente dell’ acconsentire a ricevere cioè che viene offerto. E’ un passaggio immediato, senza nessun intervento dell’uomo. Mi viene in mente l’immagine della corrente elettrica continua la quale è vero che corre sui fili costruiti dall’uomo, ma se un uomo ne viene a contatto, senza le dovute precauzioni, il movimento di oscillazione è talmente violento ed improvviso che è inutile fare uso della propria forza per imporsi. Distruggere per mettersi in salvo.
Oppure l’immagine di un rubinetto aperto, l’acqua che scorre ma tu vuoi capire come mai c’è acqua e cerchi di smontare quel organo metallico, toglierlo dal supporto, dalla cornice, dal suo elemento costruttivo. L’acqua fuoriesce con violenza, balzo energetico e ti obbliga a chiudere gli occhi contro la tua volontà per salvarti la vista.
Un’azione che non ti porta all’origine del fatto che stai disperatamente cercando di capire in ogni suo aspetto. Per uscire dal labirinto sfondi il muro, ma non né esci. Ti fai male.

Qualsiasi sentimento un giorno svanisce. Non finisce mai, ma la sua intensità diventando sempre meno luminosa non ci acceca più, possiamo togliere gli occhiali da sole e perderci nella nebbia dei rimpianti. Prodotta dalla concentrazione delle lacrime versate e non versate negli strati della nostra anima immediatamente vicini alla superficie.
Ma questi rimpianti sono un salvadanaio della nostra maturità, un pascolo fresco per le nostre nostalgie, dove liberandoci dalle cose superflue godiamo il piacere della disuguaglianza.

Convinta, sostengo la politica di “splendido isolamento” a tutela dei miei ricordi e dei miei sentimenti perché l’unica libertà che conosco e tento di conquistare ogni giorno è la liberta interiore.

Qualche volta immagino una distesa silenziosa dove sulla neve scintillante corre una bella volpe rossa, magari con il suo volpacchiotto, la vedo guardare il cucciolo con la protezione e la premura di chi ha provato ad essere solo o troppo orgoglioso per chiedere aiuto. Il cucciolo piroetta sulla neve spensierato e allegro, e le orme della mamma volpe e del suo cucciolo si mischiano fra di loro, pur essendo così diverse, e formano una splendida fotografia di una costellazione sconosciuta. E sono sicura che ogni tanto la volpe mamma si girerà indietro, forse più per abitudine che per affetto. Ma non c’è nessun preciso confine e la leggera sfumatura, passaggio dalla nebbia alle lacrime, da cui nasce, mi permette di rimanere in disparte, nel mio splendido isolamento.

E tenere per mano (virtualmente, ma non per questo senza avvertire il calore di un sentimento mai manifestato apertamente, anche esso in uno splendido isolamento) loro due. Sostenerle nel loro destino quando offrendo tutte e due le mani a chiunque non riescono a tenere alcuna.
Loro sono piccoli ed io sono giovane e tra di noi non c’è nessun ponte, tranne che io sono e loro saranno e diranno che io c’ero.

Un volpacchiotto che piange davanti alla tua casa a Praga. In quanti siamo, Marina? E dove mi stai portando?

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