Alla fine capisco che non posso descrivere gli eventi – anche quelli più drammatici con anni assumono le sfumature quasi piacevoli – dipende a chi racconto una di tante storie e in che stato d’animo mi trovo. Il mio passato sembra molto più bello di quanto era ancora il mio presente. Posso fidarmi soltanto delle percezioni non elaborate – odori, voci, colori, suoni. Mia madre che accende la luce nel disimpegno davanti alla cameretta prima di svegliarci. Il colore della copertina del primo libro di Marina Zvetaeva – un verde acerbo, acuto, inquietante, – uva spina. La calligrafia di una amica lontana che mi provoca la stessa inquietudine di 15 anni fa.
Ci sono dei periodi quando mi sento di vivere dentro questi avvertimenti della realtà esterna, mi succede di ricordare all’improvviso un intero episodio solo sentendo un odore una volta famigliare oppure una voce – che difficilmente si cambia negli anni e mi giro fingendo di trovare chissà che cosa, forse me stessa, quel personaggio strano che porto a presso, cercando di tenergli il passo. A volte lo afferro davvero e vivo in sintonia per un po’ di tempo.
Del suo appartamento al centro (a fianco della Belarusfilm, in una casa d’epoca con i soffitti altissimi in rilievi ornamentali) più di ogni cosa e anche di lui stesso mi ricordo i bicchieri di cristallo colorato con gambo alto – intaglio profondo, quasi scavato, il mio era quello blu, il suo rosso. Vorrei tanto comperarmi uno simile. Stavo molto bene con lui, cioè stavo molto bene con me stessa dentro l’idea che mi sono fatta sulla nostra relazione e dentro la nostra immagine di una coppia all’infuori di noi stessi. Stavo molto bene nel suo impermeabile, lungo quasi fino alle caviglie.
Avevo bisogno di una fase positiva nella mia vita, una specie di pentimento pubblico, funerale di me stessa cattiva – no, non fumo più, non bevo più superalcolici, devo rientrare presto, mi commuovevo solo a pronunciare queste parole, soffermandomi più al suono che al significato, soffermandomi più alla reazione degli altri che alla mia vera vocazione. Ma le persone intelligenti raramente sono buone. Non è che una cosa esclude l’altra, ma troppa bontà rilassa, ti risucchia, acque melmose, io uccello di palude, dalle gambe lunghe contenta di mangiare i rospi per non farli trasformare nei principi azzurri.
Lui aveva 17 anni più di me, e la maggior parte dell’anno viveva tra gli Stati Uniti e Israele. Quando veniva a prendermi nel mio piccolissimo appartamento portava i fiori anche alla mia coinquilina. Mi faceva sentire molto protetta. Le mie ferite si sono rimarginate e le cicatrici spianate, ero più forte di prima perché sapevo che la mia soglia di sopportazione si era molto ampliata. Quello che era dietro di me non aveva nessuna importanza e purtroppo non costituiva nessuna esperienza, era semplicemente qualcosa a cui sono sopravvissuta.
Non sono capace di raccontare una storia d’amore. Non sono capace di riportare per iscritto le parole che ti hanno cambiato la vita, che ti causano anche adesso una forte agitazione. È più facile aggrapparsi a qualche frammento – una parte che rimane da un oggetto distrutto o scomposto. In quel periodo portavo i capelli lunghi e mi vestivo di colori sgargianti – giallo, arancione, viola. In quel periodo per la prima volta provai il profumo “Dune”, la sua confezione arancione rosa (e non il suo profumo) rendeva giustizia al mio stato d’animo.
Ma io stessa, dentro questa storia assurda di perbenismo, sapevo per prima che era solo una misera farsa, mi mancavano i miei amici, le nostre uscite pazze, quel mio svegliarsi e non sapere esattamente dove mi trovavo, le danze “erotiche”notturne (non c’era niente di erotico, ci piaceva nominarli così – era meravigliosa la reazione della gente se qualcuno di noi diceva in tutta tranquillità . “ le danze erotiche di stanotte sono state proprio favolose…”), la mia cucina tappezzata di fotografie e impregnata di fumo, il mio bagno con piastrelle nere…
Ecco una mattina capii che ero annoiata, non sapevo più che cosa facevo in questo bellissimo appartamento al centro. E me ne andai, in modo stupido e patetico, senza lasciare un biglietto (e qui avevo ragione. Cosa si può scrivere andando via da una persona ?). nel taxi all’improvviso mi sentii incredibilmente bene, nessun rimorso e rimpianto, sono tornata me stessa. Non volevo più vederlo e lui più di tanto non insistette. Ma due mesi dopo mi chiamò ancora. Venne a trovarmi. Ricordo lui seduto nella mia cucina, l’abbracciai, ripetendo il suo nome. La situazione mi pesava perché ormai io nella mia testa quella storia l’avevo archiviata, io la nostra storia l’aveva vissuta tutta e non c’era nient’altro da aggiungere
Conservo la sua immagine nella tomba comune del mio cuore (Scusa, Marina! Ma era troppo bello da non citare!) come trasfigurazione in forma poetica di un sentimento che non c’è mai stato. Talmente puro da non farmi sentire in colpa per le mie idee deliranti che rappresentavano la mia condotta mentale. Non è stato quel principe azzurro che disperatamente cercavo, ma mi aveva regalato la mia immagine da principessa.
Spero che non si ricordi di me.
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