Le parallele asimmetriche
“C’è una strada che va dagli occhi al cuore senza passare per intelletto”.
“Il sentimento è il primo, più profondo e quasi unico senso degli uomini”
All’aeroporto di Varsavia compro un piccolo mazzo di iris. E’ fine marzo, fuori uno spruzzo di neve/pioggia mi bagna il viso, rientro, vado a prendermi un caffè. Penso non sia stata una grande idea comprare dei fiori proprio adesso; penso che potrebbero appassire al mio arrivo a destinazione. Decido di prendermi un succo di pomodoro.
Quando ero piccola, il succo di pomodoro era la bevanda che costava meno di tutte (che è stranissimo in sé, perché da noi i pomodori non c’erano, non riuscivano a diventare rossi nella nostra estate breve e non sempre calda. Sasha, il marito di Kostenko, chiamava la Bielorussia “Il paese dei pomodori sempre verdi”), vicino alle caraffe esposte (succo di betulla, succo di mela) c’era una saliera e un cucchiaio per mescolare, uno per tutti. Le commesse con divise grigie un po’ macchiate sul petto, cappellini assurdi sulla permanente assurda, mai una parola gentile – ma era il mio mondo, il mio zoo di vetro, dove mi muovevo disinvolta e felice. Che il succo di pomodoro lo prendo solo se sto bene, ne sono consapevole. Quando mi nutro delle cose poco costose ma salutari.
Dobbiamo incontrarci fra 4 ore. Non sono emozionata, né agitata, né turbata. Guardo dalla finestra gli aeri che decollano e ad ogni decollo trattengo il fiato, per la meravigliosa vittoria dell’ inverosimile sulla ragione. Confesso che mi interessa poco il puro meccanismo del funzionamento degli apparecchi, quella sequenza delle reazioni e operazioni, ma rimango affascinata dall’idea di un’assurdità trionfante, come la cantatrice calva.
Gli Iris sono i tuoi fiori preferiti, il loro nome in latino ha una sembianza sonora con il mio cognome – spada – a causa della forma delle foglie. Mi sento un po’ impacciata a tenerli, quasi quasi mi vergogno a manifestarti così apertamente il mio affetto.
Quando ti penso o meglio quando penso a noi, a tutto quello che ci lega (secondo me sia più opportuno dire “.. quello che ci lega” anziché “quello che ci unisce” ) quando penso a noi, penso al risultato della nostra unione e non al legame reciproco (affettivo e morale), penso alla conclusione di un’azione, uno specchio d’acqua dove le navi si ricoverano per rifornirsi…
Staremo insieme quattro giorni, ho addosso il cappotto blu scuro che mi regalasti un anno e mezzo fa. L’avevi tirato dalla valigia come un fachiro trasforma un coniglio in una colomba. Leggero, morbido, mi tiene caldo e compagnia, lo considero quasi un essere umano, per quanto l’avevo desiderato con la mia solita bramosia. (forse proprio per questo mi viene spontaneo dire “quel che ci lega”). La gonna forse è troppo corta e mi va un po’ piccola – la comprai dopo aver bevuto non so come, quanto e dove con Oxa, il completino di gonna e gilet con cappuccio mi costò mezzo stipendio di quel tempo, ma avevo bisogno di una manifestazione sfrenata del mio benessere finanziario davanti ad Oxa. Spero di piacerti ugualmente.
Non ho mai capito perché mi ami così tanto. A volte mi spaventa la tua persuasione ferma e sicura e mi sento schiacciata da quella àncora che mi salvò 4 anni prima. A volte quella àncora mi porta troppo lontano dal mio mare, la mia squama cornea si secca, mi manca l’aria , respiro a fatica e cerco di sguinzagliarmi (.. “quel che ci lega”) “Un po’ di sole nell’acqua fredda” – Un peu de soleil dans l’eau froide.
Saranno quattro giorni bellissimi, una treccia di colori accavallati, da non distinguere i passaggi. Emozioni mischiate a fenomeni atmosferici o vice versa perché anni dopo mi ricorderò: tanto freddo, i tulipani sul tavolo, tanto sole, la tenda di un tenue azzurro grigio, un saluto in francese rivolto a me, la neve, il gusto del calvados, il mio cappello grigio come la sfaccettatura continua di una pietra preziosa mai vista prima.
Sarà un breve armistizio sentimentale, “una stagione di fede assoluta”, un ciottolo smussato dalle acque limpide e serene, facile da prendere in mano o tenere nella tasca degli jeans. Sarà successivamente dipinto e utilizzato come ferma immagini per impedire che volino via.
Scopriremo il piccolo ristorante “ai tre violini” vicino alla cattedrale di San Nicola, con le tende ricamate a mano e le pareti in legno scuro, non cupo, ma intenso. Ricorderò la favolosa zuppa di cipolle e il suo vapore sulla pelle infreddolita. In tutto questo non ci sarà mai alcuna ragione, solo il senso, il nostro sesto senso, attraverso il quale passeremo le impressioni del mondo esterno. Il mio cuore è l’unico organo che non riesco a tenere occupato con la ragione. La ragione non è sempre il valore, a volte non ha un significato ben preciso e te lo chiede, ti costringe a pensare, a cercare, a darsi da fare per individuare, rilevare, dare un nome. A volte tratteggiare il territorio. Sa di essenziale, fondamentale, necessario. La ragione ci deve essere per forza. Adempire ai compiti e doveri.
Con te imparerò a vivere senza ragione, ma per il senso stesso.
Ricorderò la coppia di innamorati seduti al nostro fianco al ristorante, sembravano così immersi nei loro sentimenti da non rendersi conto di non essere soli e la loro gioia autentica nell’incontrarci di nuovo sul ponte: la ragazza si girerà agitando la mano, gridando “siamo noi, quelli del ristorante!” Non ci sarà nessuna ragione per farlo – solo il senso dell’ olfatto per percepire un’altra coppia di innamorati. Troppo immersi in loro stessi da non rendersi conto dei loro sentimenti.
Ricorderò la ricerca disperata, straziante, commovente della casa di Marina e il vederla spuntare dal nulla, con il numero sbagliato, mi trivellerà per sempre il cuore con la stessa luminosità con la quale riuscirò a lasciarti due anni dopo.
Perdonami per l’ incapacità di vivere senza ragione.
La mia paura di cedere davanti al senso.
Il profumo inebriante del gelsomino facilita l’autopsia sentimentale.
“Chi, signore di sé, si muove tra gli oggetti dei sensi con sensi …..”
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